#Librinfestival II edizione “La rabbia che rimane”

La rabbia che rimane di Paolo Di Reda: cinquant’anni di storia italiana fanno da sfondo alla ribellione e alla violenza di chi li ha consumati.

di Giusi R.

La rabbia che rimane, Paolo Di Reda

 

Eravamo accecati dalla rabbia, una rabbia senza oggetto che non sapevamo spiegarci. Era necessario riversarla nelle piazze e nelle strade.

#Librinfestival, Paolo Di Reda

 

Venerdì 28 ottobre 2016, a Monterotondo, il romanzo La rabbia che rimane di Paolo Di Reda, Edizioni Fahrenheit 451 ha inaugurato la seconda edizione della maratona letteraria #Librinfestival, anno 2016/17.

 

A ospitare la Kermesse il nuovissimo bar-pub, intimo e accogliente L’officina – Food n’ Music

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A dialogare con l’autore Silvia Di Tosti che si è cimentata inoltre con la lettura delle pagine più significative della storia. Ha affiancato l’autore l’editor Laura Arduini.

Il romanzo

Cinquantadue anni di storie familiari e personali che insieme fanno la Storia. Sono stati anni cruciali per l’Italia, non c’è nulla di simbolico, potrebbe essere la storia del sogno di una generazione, anzi dei sogni di una generazione che assomigliavano a quelli delle altre generazioni, ma che trovarono strade e mete diverse dalle altre, molto più ambiziosi, figlie del boom economico. Le storie si intrecciano tra loro, si nascondono e si contengono come in una Matriosca, tutte diverse ma immerse nello stesso mare. Una storia in cui la rabbia è il filo conduttore, una rabbia che a volte sembra fine a se stessa, a volte sembra l’ovvia conseguenza di una ingiustizia, di una disuguaglianza che non ha motivi. (Sandro Tucci)

In questo racconto hai dei riferimenti personali?

Per evitare una struttura nostalgica ho cercato di allontanare qualsiasi riferimento autobiografico. Sono nato a Torpignattara, un quartiere molto popolare di Roma, ma per l’ambientazione di questo romanzo ho scelto i quartieri della borghesia medio alta, proprio perché non volevo presentare la rabbia scontata della periferia.

La rabbia, il sentimento che mi premeva esprimere, diventa protagonista del romanzo e accomuna un po’ tutti i personaggi, una rabbia come risposta all’idea, diffusa in quegli anni, di risolvere i problemi con la violenza, non solo i problemi politici come la scelta della lotta armata, ma altri tipi di violenza. Il romanzo inizia con lo stupro di una diciassettenne Georgia, la protagonista, che resta incinta e, rifiutando di abortire, decide di trasformare questa violenza in amore. Seguiamo la storia di Giorgia e di Andrea che si troverà anche lui a fare la sua esperienza di violenza, non rivolta verso gli altri ma nei confronti di se stesso. In quegli anni non c’erano solo le pistole, c’era una violenza diffusa, un senso di  profonda autodistruzione che nasceva probabilmente da questa sensazione di avere un sogno talmente grande e non avere gli strumenti in quel momento per realizzarlo, e allora la fuga nella “felicità sintetica”. Una violenza quella della droga che forse ha mietuto più vittime degli assassini e delle stragi. Era nascosta nelle periferie, nei campetti e quindi meno visibile. Nel 78 accade questo fenomeno di cambiamento del mercato della droga, l’eroina venne offerta allo stesso prezzo delle droghe leggere e uccise tanti giovani. Io ho cercato di trattenere i ricordi di quanti sono morti, anche amici, proprio perché non volevo indulgere nel sentimento personale, ma questa presenza è sicuramente un altro elemento che a chi è rimasto vivo fa crescere la rabbia di non aver potuto fare molto per evitarla.

#Librinfestival, Laura Arduini, Paolo Di RedaDomanda a Laura Arduini: Essere donna ha influenzato il tuo lavoro di editor, c’è del tuo nei personaggi femminili.

Io e Paolo siamo anche compagni nella vita quindi il libro lo sento raccontare fin da quando ha cominciato a scriverlo, ma abbiamo mantenuto la distanza professionale. Come autore Paolo fa un lavoro di documentazione, mette in campo i suoi ricordi, le sue conoscenze, ma soprattutto ha questa capacità di interpretare e approfondire molto bene le donne in un modo che gli riesce corrispondente, per cui non c’è del mio nella caratterizzazione dei personaggi femminili. Secondo me la morale del libro sta proprio nel percorso di Giorgia, nella trasformazione di quella rabbia scaturita dalla violenza subita.

A proposito del lavoro di editor, ci sono stati momenti di rifiuto rispetto ai tagli, anche a proposito dei personaggi che sono tanti, tutti molto approfonditi, o di particolari situazioni, perché poi il libro si svolge in un arco di tempo molto lungo.

No, non ci sono stati grandi problemi, tranne riuscire a tenere insieme le fila delle tante storie che si intrecciavano per evitare incongruenze e attribuzioni. Poi c’erano dei dialoghi scritti nel modo in cui si parlava negli anni ’60, era il modo di parlare della politica e riscritto adesso non sarebbe stato credibile. In questo senso abbiamo forse un po’ tradito quella che era la realtà storica.

La musica
Atom Heart Mother · Pink Floyd 1970
Stava per alzare il braccio del giradischi, ma proprio in quel momento l’orchestra abbassò i toni ed entrò una specie di violino. Era un suono nuovo, qualcosa di mai sentito, toccante e bello. La tensione si trasformò in energia pura: si sentì trascinato dentro l’orrore del mondo e poi portato via dalle chitarre elettriche e dai cori verso luoghi sconosciuti, per essere condotto dalle trombe tonanti verso il trionfo finale della vita. Quando la musica cessò, fu come se fosse nato in quell’istante. Atom Heart Mother.

Una delle cose che mi hanno chiesto in altre presentazioni è che avrei dovuto metterci più musica nel romanzo. In realtà la musica è una componente importante di quegli anni perché era un medium immediato, non c’era bisogno di nient’altro se non sentire suonare e cantare anche per le strade. Quello dei Pink Floyd è un ricordo personale che faccio rivivere ad Andrea perché quando ho ascoltato per la prima volta Atom Heart Mother avevo 14 anni ed è una delle emozioni più forti che ho provato.

Ci sono delle similitudini fra il nostro esser adolescenti rispetto alle generazioni successive
Sinceramente non vedo differenze. Non credo che i giovani siano tutti degli sfaticati o distanti dalla realtà. In una presentazione mi hanno detto: non c’è più la strada. Io la strada l’ho vissuta e devo dire che non era un posto tanto tranquillo. Non credo che ci siano differenze fondamentali sui sentimenti primari. I giovani hanno sempre una speranza. Noi avevamo una speranza che si nutriva di una modalità collettiva. Oggi abbiamo una ricerca dell’affermazione individuale più che collettiva. La differenza sta in questo, non nell’esistenza della speranza ma nelle modalità. I giovani di oggi non hanno questo appoggio di poter sperare insieme agli altri e questo cambia parecchio nella modalità di porsi come motore di un cambiamento. Comunque in un modo o nell’altro i giovani cambieranno la nostra vita.

#Librinfestival II edizioneQuanto la tua formazione rispetto al cinema ha influito nella scrittura di questo romanzo.
Penso che la scrittura di oggi sia chiaramente influenzata dal cinema, e forse la modernità della scrittura, che è data dai tagli, la percezione di voler raccontare una storia tagliando la significatività degli elementi ce lo ha reso possibile solo il cinema. Sicuramente una certa avanguardia letteraria è stata influenzata dal cinema. Per quanto mi riguarda l’elemento fondamentale della formazione cinematografica mi ha dato oltre a questa voglia di raccontare le cose con un loro ritmo, una loro musicalità, è dovuta anche al fatto che il racconto, i personaggi, la modalità anche visiva di porre direttamente le storie poteva essere mutuata solamente dalla cinematografia, e allo stesso tempo un modo per recuperare la Storia. Abbiamo vissuto, negli anni raccontati nel romanzo, la ricerca di una nuova soggettività dello scrittore. C’è stata una neo avanguardia che ha scritto pagine molto belle, però non parlavano al grande pubblico, ma a una cerchia sempre più ristretta di intellettuali, si è raccontata in modo quasi autoreferenziale. Diciamo che in quello che scrivo la regia mi serve come idea per raccontare una storia, un elemento interiore che metto in moto per evitare che le cose rimangano immobili.

Senza il terrorismo la nostra storia sarebbe stata diversa?

Senza dubbio, ma non poteva che essere così. Si pensa che il terrorismo non sia stato che una delle risposte, ma in realtà è stato possibile perché hanno voluto che fosse così, sfruttando probabilmente una debolezza del movimento. È raccontato nel libro: le manifestazioni erano grandi, sostanzialmente pacifiche, anche se poi molto spesso gli slogan che urlavamo non erano proprio così pacifici, e c’era questo elemento di violenza utilizzata abilmente da chi ha voluto infierire comprensibilmente per non permettere che quel sogno, quella idea di cambiare il nostro paese e il mondo fosse possibile. Dico comprensibile perché è strano, e qui noi peccammo di ingenuità nella speranza di poter cambiare in maniera concreta, che non ci fosse una risposta da chi invece aveva tutto l’interesse a mantenerlo stabile come era. Però poi è chiaro che quando sei in una svolta nella strada e ti trovi persone che assaltano un armeria e usano quelle armi per sparare, devi decidere in un istante se sei con loro oppure no. E questo è il dilemma del personaggio di Andrea che poi lo scriverà da giornalista. E questo è stato il dilemma di tutti noi. Sì, sarebbe stato un mondo migliore senza terrorismo, purtroppo non è diventato un mondo migliore.

Ho come avuto l’impressione che alla fine in qualche modo tu salvi tutti, forse per raccontare questi personaggi in una maniera più obiettiva possibile.

Quando devo dare vita ai personaggi cerco di non giudicarli, perché poi hanno una loro vita, una loro dinamica, possono fare alcune cose altre no, hanno un loro carattere. Nel momento in cui li pensi, la violenza di un personaggio esce fuori. Se è una terrorista non può fare alcune cose, può farne altre, ma nello steso tempo è una persona e quindi nel momento in cui gli dai un nome, una faccia, lo immagini come è, non puoi giudicarlo, lo lasci vivere con i suoi difetti le sue scelte. In questo libro più che in altri, ho avuto la strana esperienza di questa mancanza di giudizio, che è poi anche la curiosità di vedere attraverso altri personaggi una storia che io avevo vissuto. Non ho voluto giudicarli perché mi interessava capire per esempio la prospettiva di un personaggio che sceglie la lotta armata. Io li ho lasciati liberi, senza giudicarli altrimenti li avrei limitati nella loro potenzialità. Quindi non è soltanto l’idea che tutti sono buoni, tutti hanno le loro ragioni ma è una scelta lasciar parlare i personaggi per quello che possono esprimere a chi li andrà a leggere.

Paolo Di Reda "La rabbia che rimane" #Librinfestival
Laura Arduini: Solo per chi non avesse ancora letto il libro voglio ricordare che nelle presentazioni vengono sempre fuori, giustamente, questi temi politici, storici Però nel libro ci sono anche storie d’amore. Questo è anche un romanzo con tutta la sua gamma di sentimenti, situazioni, affetti.

 

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